di Dijana Pavlovic, attrice rom e mediatrice culturale.
A Roma sono bruciati vivi con la loro baracca e la loro miseria Fernando 3 anni, Sebastian 7 anni, Raul 5 anni, Elena Patrizia 11. Sono morti come Emil 13 anni, nel marzo scorso a Milano, Menji 4 anni, Lenuca 5 anni, Daciu 11 anni ed Eva 8 anni nell’agosto del 2007 a Livorno. Una strage a cui si aggiungono le tante morti di anni di emarginazione in un costante silenzioso porrajmos, la “shoah dei rozn”, che non è finito con la fine dei campi di concentramento. Un porrajmos che diventa visibile con le morti innocenti ma scompare quando tocca ai tanti bambini ai quali le ruspe distruggono i quaderni e i libri che non potranno più usare perché le ruspe li cacciano da scuola e fanno perdere il poco lavoro in nero ai padri. Una gara feroce che non si ferma neppure quando, come a Milano, maestre e genitori inseguono le famiglie di via Rubattino da uno sgombero all’altro, li accolgono in casa, fan di tutto perché quei bambini non perdano la scuola, diritto costituzionale e speranza per il loro futuro. Come sempre per qualche giorno si parla di rom non solo per demonizzarli con luoghi comuni e pregiudizi, perseguitarli con sgomberi inutilmente crudeli perché colpiscono sempre gli stessi.
Si apre un dibattito sulle responsabilità: sono delle amministrazioni che tollerano il degrado o dei genitori che abbandonano i figli nella baracca per far la spesa? Ma nessuno si interroga davvero su cosa sia necessario per evitare simili disgrazie e il dibattito finisce presto perché poi incombono le solite urgenze politiche. Un dibattito ipocrita perché nessuno vuole davvero risolvere questo problema. Un problema semplice – sono solo 130.000 i rom e i sinti in tutta Italia, metà dei quali cittadini italiani – ma anche un problema “elettorale”, perciò irrisolvibile: porta voti a chili perseguita mantenendoli nel degrado, li toglie a chi li aiuta a uscire da quelle discariche sociali che sono i campi. Ma in questa occasione c’è stato un fatto nuovo che mi ha colpita e commossa e che da solo vale tutte le parole spese per il mio popolo: il gesto di grande umanità del presidente della nostra Repubblica seduto insieme con i genitori e la sorella di questi bambini a condividere la loro disperazione. Un gesto che squarcia il velo dell’ipocrisia, che cancella l’ottuso razzismo del consigliere regionale lombardo, il leghi-sta Bossetti, che non si alza in piedi nel minuto di silenzio dedicato ai quattro bambini, un gesto che, accompagnato dalla richiesta di mettere al primo posto dell’agenda politica il destino di queste persone, ci fa sperare che possiamo ritrovarci uomini e donne che portano ad altri uomini e donne il riconoscimento della comune umanità fatta di convivenza civile e reciproco rispetto.